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I primi cardinali di Francesco. Tra porpore “ad personam” e terrore


Sull’Altare all’ora nona. Silenzio e solitudine del Golgota: assistere alla messa antica

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Ci sono due aspetti in particolare che ci rendono il senso profondo della messa, specialmente secondo il rito extraordinario, che personalmente prediligo: il silenzio e la solitudine. L’altare, prima e durante e dopo il Sacrificio, è avvolto dal silenzio. E dalla solitudine: del celebrante, “Alter Christus”.

Ma come, si dirà, la Pasqua e dunque la celebrazione sono “anche un trionfo!”. Certo, sì. Ma è anche il perpetuarsi della passione e morte di Cristo. Che si svolgono nel silenzio, nella solitudine, nel tradimento, nel rinnegamento, nella fuga dei discepoli. Nell’ultima cena Cristo è tradito e venduto da Giuda; nell’Orto degli Ulivi, nella notte che precede il supplizio Cristo è lasciato solo a sudare sangue mentre i discepoli s’addormentano invece di pregare con lui, la sola cosa che aveva domandato loro; Pietro nella stessa notte lo rinnega tre volte; nessuno cerca di salvarlo, nessuno gli si offre a sorreggere per un po’ la croce (il Cireneo ne è costretto). Nessuno sembra più conoscerlo o riconoscerlo.

Cristo in un attimo di dolore veramente umano, grida a squarciagola al suo Dio, all’Abbà, il baratro di sventura e solitudine in cui sprofonda inerte.

La “solitudine”. La stessa solitudine che in quel momento sull’altare del Sacrificio Supremo, nuovo Golgota, dove davvero e di nuovo irrompe la Passione di Cristo, sperimenta il sacerdote, “Alter Christus”.

Il sacerdote è solo davanti all’altare. E a questa solitudine si aggiunge l’ombra propria della solitudine: il silenzio. Sulla collina desolata del Golgota, e prima, nell’Orto, e dopo ancora, nel sepolcro, Cristo è solo e nel silenzio. Il silenzio della sua obbedienza, del calice dell’amarezza, del sudore sanguinolento. È il silenzio dell’impotenza, che per un attimo sembra persino di Dio. “Padre mio, Abbà, perché mi hai abbandonato?!”. Il “silenzio” di Dio, in quel frangente, sembra quasi l’inabissarsi della Divinità.

Ma è anche l’impotenza e la desolazione che deriva dal primo ed eterno “sì” in obbedienza di Maria, accettando questo Figlio che non era per lei: “Stabat Mater Dolorosa…”, sotto la croce. È quel silenzio tremendo che avverte sul letto di morte anche la piccola enorme Teresina di Lisieux, quando si lamenta, in quel momento estremo d’agonia e incertezza, della “non presenza di Dio”.

Silenzio. Come stettero zitti i discepoli, Maria, chi volle bene al Cristo uomo e già Messia, tutti quanti: tacquero sotto la croce, o si nascosero, impotenti per obbedienza e per viltà, tacquero persino impietriti dal dolore e dalla confusione, o perché in definitiva così “dovevano” andare le cose… tutti stettero in silenzio. Assistettero soltanto: alla passione e morte del figlio di Dio.

La stessa ragione per cui alla messa del Sacrificio, i fedeli non devono “partecipare”, ma assistere. In silenzio. Il silenzio che ammanta il sacerdote mentre compie il Sacrificio di Cristo. E di se stesso. Oppure devono solo “accettare”, assecondare l’ineluttabile, il miracolo che non ci ha lasciati “orfani” sulla terra, come aveva promesso il Messia.

Ma allora, la Resurrezione? E’ un trionfo. Ma è un trionfo vissuto nel nascondimento, da un Dio senza arroganza. Avviene ancora una volta nel silenzio e nella solitudine. Dentro un sepolcro di pietre, di notte, assenti tutti, tranne i soldati chiamati a vegliare l’esterno dell’avello. Alla stessa maniera, submissa vox, nel silenzioso, quasi segreto e oscuro formulare del sacerdote “Alter Christus” sull’altare del Sacrificio, avverrà la Resurrezione. Nel silenzio e nella solitudine.

Ecco spiegato il perché e il come si sta, si assiste al Santo Sacrificio della Messa. La Messa antica. Lontana dal clamore e dal chiasso, dalla frenesia e dalle sindromi di protagonismo, dai microfoni gracchianti e stordenti, dal profluvio di fraseologia frigida e dai battimano della messa riformata in stile anni ’70, gli anni più stancamente declamatori, populistici, inutili mai vissuti sulla faccia della terra.

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Per non fare cardinali gli amici di Benedetto, fa i suoi…

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Papa Francesco consegna sacro pallio a 34 arcivescoviHo fatto un bel po’ di chiacchiere con, diciamo così per fare i pomposi, la mia “fonte” (seria stavolta): il prete curiale…

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Il mondano spirituale: Mons. Dal Covolo, magnifico rettore della Luteranense

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Oggi vi parlerò del magnifico rettore della Pontificia Università Lateranense, o, come la chiama qualcuno, “Luteranense”, ritrovo di molte robuste colonne future della Chiesa; ritrovo anche di diversi parassiti futuri, sempre nella Chiesa; ritrovo spesso di pensatori dalle idee quantomeno stravaganti, poco cattoliche, parecchio protestanti; ritrovo talora persino di notori e plateali omosessuali in cerca di un posto al sole e di una copertura al buio.

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Tutte a me capitano

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Gli stupidi mi chiedono spesso “ma tutte a te capitano?!”. Ad esempio quando racconto piccole disavventure o avventure sul mio facebook. Per divertire o far riflettere i miei contatti, che non tutti sono stinchi di genio.

Io compatisco la loro stupidità, e ogni volta li rendo edotti che “a me capitano” perché sono tanto intelligente da accorgermene; soprattutto sono un appassionato di umanità, osservo i particolari delle persone, la gente mi incanta e mi disgusta al contempo, e mi chiedo sempre come facciano tutti questi cialtroni, talora moralmente e persino fisicamente repellenti, ad essere tutti quanti “figli di Dio”, come fa a creare certe cose, per quale ragione sono noti e amati, loro pure, da Lui. Non capisco. E mi meraviglio. E puntualmente mentre guardo e penso tutte queste cose, incantato, mi scordo di scendere alla fermata giusta della metro… e devo ritornare indietro.

Mi incanta la bellezza, ma soprattutto mi impressiona la bruttezza e le secrezioni di questa: il mio naso sensibilissimo (dopotutto resto uno “storico degli odori” e dell’igiene), più degli occhi, più degli altri sensi sniffa la putrefazione nel carrozzone umano, e automaticamente catalogo odori e cattivi odori che mi scoppiano nel cervello terrorizzandomi, come mi terrorizza sempre la gente sporca. È perché tutto questo mi ricorda l’Antica Caduta, il peccato originale: la carne umana non fa che putrefarsi in continuazione, perché non abbiamo a dimenticare da chi discendiamo. Vorrei sommergere tutta l’umanità sotto un diluvio di amuchina.

downloadMi chiedo ad esempio come possano quei due orientali, due filippini, due pakistani che appestano un bus con la loro presenza mefitica, così brutti e con la pelle e il naso e tutto che tanfa di aglio, come possano baciarsi, fare l’amore fra di loro: la proiezione dell’idea di parti intime di persone sporche e olezzanti d’aglio che si congiungono tra loro, ha la forza di farmi vacillare in preda allo sturbo.

La forza evocativa ed apocalittica dei “non-luoghi”, come le stazioni, le metro, troppi altri posti pubblici metropolitani, mi affascina e mi nausea insieme, ne sono attratto e respinto. Lì sento tutto il “nulla” assoluto del mondo. Il nulla assoluto del genere umano. E il mistero o l’assurdo di quel “nulla” che in Cristo trova una ragione e si fa “tutto”. Un “tutto” imperscrutabile, incomprensibile a viste umane: come può essere tanto anonimato e tanta bruttezza, tanta putrefazione morale e carnale un “tutto” in Dio? Vedo la decadenza della creatura, intuisco il mistero della sua vita, ma soprattutto mi massacro il cervello nell’assurdo di tutto questo.

“Capitano” tutte a me, certo, cari imbecilli che me lo fate notare. La gente a osservarla bene, ti rendi conto ti fa “capitare” tante cose; per questo la mia vita è ricca anche quando non faccio assolutamente nulla: sto seduto da qualche parte… e guardo, osservo, mi appassiono all’umanità. E davvero allora tutto “capita”. Mi basta andare un quarto d’ora al mio bar, e già nel tragitto ho attraversato un mondo, il mistero di Dio e della creatura umana.

Sono mesi che mi interrogo su chi è quella vecchina candida, antica, dalla dentiera perfetta, immersa nel biancore fulgido della sua estrema vecchiezza, con quel cane al guinzaglio col giubbottino. Ma gli occhi sono vivi e neri, spuntano come due tizzoni ardenti sulla cenere. Eppure fa tenerezza e paura al tempo stesso. Deve essere stata una donna molto forte, terribile, dedita a cause infami: deve aver amato furiosamente qualche uomo, un tempo. È carne che fu bollente, si vede…

Perché questa vecchissima donna passa ogni giorno dietro la mia finestra e rancorosa lancia ordini al suo cane bestemmiando con furore il nome di Dio? Una vecchina che potrebbe essere una delle nostre antiche nonne laggiù nella provincia, ma che bestemmia con rancore Dio e la Madonna. Scopro oggi che è una vecchia militante dell’antico PCI, quello vero e che faceva paura, una ragazza “partigiana” di Roma ai tempi dell’occupazione tedesca. Cosa strana per una razzista matricolata con cane altrettanto razzista de merda.

Mi ha sempre turbato che questa vecchia mi fissi dritto negli occhi, e non capisco mai con che sentimenti. Oggi, tornando dal bar la vedo ferma a parlare con dei conoscenti. Si gira e mi guarda: dritto negli occhi, forse con un velo di ironia; forse, penso, perché si aspetta un mio saluto. Mi fissa la fisso. E anche il cane bassotto, spunta fuori mi fissa e mi abbaia contro. Allontanandomi sento la vecchia comunista gracchiare ridendo: «’Sto cazzo de cane non può vedere i negri… gli stracomunitari [sic!]… li turchi, l’arabi come quello lì». Cioè io.

A proposito di turchi.

C’è al bar un ragazzo con un fascino tutto mediorientale. E infatti ha scritto ovunque che ha nelle vene il sangue di Maometto. Un ragazzo dello Yemen. Fidanzato con una ragazza italiana. Molto educato, socievole, ammodo, gentile; misterioso e doppio come qualsiasi mediorientale.

Mi dicono che mena la ragazza, perché lui “ha la sua mentalità”. E lei non s’adegua del tutto: gli uomini arabi e islamici sono così, si comportano da principi maliardi per conquistare una donna, e la fanno sentire una regina; dopo averla conquistata ne fanno una schiava, e ne diventano i padroni. Non provo compassione per la ragazza e spiego che sapeva bene a chi si fidanzava, e in ogni caso ancora ci sta insieme: evidentemente a certe donne piace, eccita essere e rappresentarsi come vittime. Ed è, diciamocelo, terribilmente sexy in fondo, a pensarci bene: la carne dilacerata dall’amore reazionario e selvaggio. Finalmente un uomo che fa l’uomo e una donna che fa la donna: un gioco perverso. Ma eccitante come tutte le cose perverse. E contorte. E folli. C’est l’amour, mes cheres!

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Il papa spedisce in esilio il conservatore card. Burke

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Ho un fiuto animale per le persone, non mi sbaglio mai sulla loro natura profonda, e dunque su quel che faranno: dovrebbero mettermi in capite a un ministero vaticano per la selezione del personale, non fosse che lì basta anche un ex smistatore di rifiuti solidi urbani…

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Perché i vescovi tedeschi odiano papa Francesco?

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Il Kardinale Karl Lehmann

Il Kardinale Karl Lehmann

Proprio qualche giorno fa ve lo scrivevo, sapendo quel che dicevo. I vescovi tedeschi e il papa, qualsiasi papa. Nel loro giudizio sui pontefici romani prevale un criterio tutto loro che ha retroterra duri a morire e che si perdono nei secoli: quella mai doma, sempre strisciante gara a chi ce l’ha più lungo…

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Proibito cagarsi addosso: è reato. Di omo-fobia

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*da Qelsi Quotidiano

A pensarci bene, i legislatori non solo hanno dimenticato il senso e lo spirito delle leggi, la giurisprudenza, e cosa siano le dottrine dello stato. Hanno dimenticato pure (e tutto da lì comincia) il senso delle parole.

Per esempio “omofobo”: ma cazzarola vuol dire?

“Omo” vuol dir tutto e niente. Letteralmente, paura di ciò che è omo: “omo” cosa? Omo-zigote, Omo-logato, Omo-genizzato, Omo-sessuale… se scrivono una legge che contempli senza specificare il già assurdo giuridico del reato di “omo-fobia”, come faccio io a capire di chi è che non devo aver “paura”? se del gemello omo-zigote, se del comunista omo-logato che ha portato il cervello all’ammasso, se della pappa dei bambini, oppure dell’omo-frocio?

“Omo”, significa “uguale”: non devo aver paura delle persone uguali, degli eguali? Ma allora, se così è, questo assurdo semantico porta a un assurdo logico: mi si arriva a dire che se non devo aver paura di chi è “uguale”, andando per esclusione, dovrei aver paura di chi è “diverso”. E per via dell’eterogenesi dei fini, una legge che vorrebbe tutelare gli omosessuali, semanticamente mi invita a temerli, in quanto “diversi” piuttosto che “uguali”. Ma come fai a no ride?

Tra l’altro: riflettete sulla parola “fobia”, che è un termine affatto giurisprudenziale, ma mutuato dalla psicopatologia, e indica un atteggiamento appunto patologico, che andrebbe curato più che punito, in quanto paura irrazionale di qualcosa che di fatto non c’è… Ma se quella cosa “non c’è” ed è una paura irrazionale, cosa si punisce allora?

Così come la Rivoluzione Francese imponeva di essere “felici” per legge, adesso la rivoluzione liberal-radicale ci proibisce ex lege di spaventarci… E non è un caso che la prima Rivoluzione, quella che imponeva per legge la felicità a tutti i “cittadini” liberati dalla “paura”, finì poi col “Grande Terrore”, e per le strade di Parigi rotolano più teste che cocomeri al mercato ortofrutticolo, teste di gente che si era incaponita a sentirsi (e peggio, a dirsi) triste. Oggi ci vogliono punire non in quanto “infelici”, come allora, ma perché potenziali “impauriti”. Forse è per questo che continuiamo a essere tristi. Dovremmo andare tutti dal chirurgo plastico per farci levare dalla faccia ogni espressione, come Patty Pravo. Se vogliamo campare a lungo, e possibilmente liberi, un tantino sereni.

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Una vecchia tartaruga nella città. Appunti metropolitani

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Ancora dai miei appunti metropolitani. Roma, di nuovo.

La volgarità frammista al cinismo mi disgusta. Ed entrambe le cose addosso a un plebeo, le trovo insopportabili.

Vado al bar, ‘na vecchia senza sorriso, compra due bottiglie de latte, e lenta come una tartaruga cerca e sistema qualcosa nella borsa, mettendoci 5 minuti buoni: com’è che diventiamo così lenti di riflessi, incapaci di fare subito cose semplicissime? Dio dà e poi a ‘na certa toglie.

Guardo i suoi polsi ormai informi: «Cristo mio come ci storpi!… è proprio necessario ridurci così negli ultimi lenti istanti della nostra esistenza? Chissà che donna è stata questa: chissà se un tempo un ragazzo l’ha guardata e ha detto “che bella che è” e ha desiderato far l’amore con lei». Interrogo l’eterno e me stesso e la vita così com’è all’apparir del vero. Miseri cadiamo.

Entra nel bar un ganzo di quartiere, col codino: una quarantina d’anni.

La vecchia gli sussurra (lentissimo e impercettibile è anche il suo parlare, senza più mimica facciale: una maschera incaica) qualcosa.

Il quarantenne ganzo si china per tre volte e accosta l’orecchio: la vecchia sussurra tre volte.

Cerco di sentire e non sento.

Alla fine il ganzo quarantenne capisce.

“Pace all’anima sua” dice.

La vecchia con la maschera incaica, senza espressioni e senza gioia, s’allontana lentissima: come una tartaruga, con il latte nella borsa, che per lei è diventata un pozzo senza fondo nel quale si smarriscono tutte le forze di una vita troppo lunga, in compagnia delle mille ombre di solitudine che sorgono quando il sole già tramonta all’orizzonte. E’ la vita che finisce e uno dopo l’altro si spengono tutti i sentimenti, e tutte le passioni umane, sul volto. Il dolore resta.

Il quarantenne ganzo, cerca il mio sguardo: ha degli occhi azzurri troppo belli perché non siano anche cinici. Mi parla, mentre lo osservo: “E’ morta la professoressa N.N., così dice la vecchia”. E si porta una mano sulla patta dei jeans. «Ma tutti a me vanno cercanno: oggi è morta la professoressa ner condominio, ieri me so venuti a dì che è morto ‘n’artro, prima ch’era morta n’artra ancora: che m’hanno piato pe ‘n’agenzia de pompe funebri, porcazozza?! O me la vonno tirà?!».

Scosto il mio sguardo disgustato che è diventato gelido, mi giro dall’altra parte. Con la coda dell’occhio vedo che è ancora rivolto verso di me, a parlarmi, cerca il mio volto, il mio consenso. Resto immobile a ignorarlo, freddo. Prosegue e conclude il discorso rivolto al mio orecchio: “… e allora io anzi me sdrumo li cojoni“.

E dunque, che hai risolto, oltre a seminare crudeltà e indifferenza che come ortiche avvolgeranno la tua stessa tomba derelitta? Allorché un “ma che me frega a me!” ti seppellirà, quando con tutta la vita che ancora hai, non c’è più forza. E precipiti lento come una tartaruga nella tua borsa che è diventa un pozzo di San Patrizio, dove l’una dopo l’altra si calano e si gettano le mille ombre di solitudine che sorgono e muoiono sul far della sera. Quando il sole già tramonta all’orizzonte.

E’ già sera.

E’ Roma anche qui.

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Antonio, Filippo e Caterina. Che gente strana… e affascinante

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Il deserto è il luogo dei demoni

1609813_10201966885746587_961455574_nL’altro ieri guidavo verso Lecce. Ho messo su Radio Maria. Parlavano di una cosa che io avevo sempre guardato con distacco, sufficienza, come a qualcosa di scolorito, leggendario, irrilevante, forse pure un poco irritante: la storia di Antonio il Grande, meglio conosciuto come Antonio Abate e i padri del deserto, l’antico monachesimo anacoretico. E mi venga un colpo!, è una storia meravigliosa, ricchissima, tremenda e vera… altro che sbiadita e mitologica: tutt’altro che alienati e sociopatici quei padri, tutt’altro che idealisti fumosi; vi è invece, in quei padri, un realismo drammatico, che li spinge a una apparente “fuga mundi”; ma erano “dentro” il mondo, in modo più vivo e più vero di quanto non lo fossero i mondani. E’ alla mondanizzazione (anche) della loro Chiesa che rispondono con il “rifiuto” del mondo. Delle sue opere e seduzioni.

Ma c’è di più e non l’avevo mai saputo: non devono essere leggende, come credevo, le loro epiche lotte col demone, no. Ma è il deserto che hanno scelto come “monastero”, è il deserto ad essere l’habitat dei demoni, lì vagano famelici ed esiliati, in attesa, qualcuno di essi, di poter mettere le mani sulla “città”. Questo i padri lo sapevano, perché era insegnato dalla Chiesa, e la Bibbia lo diceva in termini meno metaforici di quanto si possa immaginare. Il deserto è l’esilio terreno dei demoni, davvero.

Ma rifletteteci: pensate a dove ci sono deserti oggi, a quanto difficile e tormentata sia stata ed è lì la sopravvivenza dei cristiani, che bene gli vada vengono cacciati e perseguitati da sempre; quelli che restano, a tutt’oggi, sono martirizzati. Il deserto è il luogo dei demoni: non tollerano coabitanti che siano uomini di Dio. Nel deserto sono germinate le prime grandi eresie, nel deserto è sorto ed è rimasto l’islam e sempre gli fu impedito, quasi da una forza misteriosa, di venirne fuori scavalcando quel recinto sabbioso, sebbene innumerevoli volte abbiano tentato la scalata verso “Nord”.

Si dirà che laddove l’Africa è oggi deserto, sino a qualche secolo fa erano terre lussureggianti con una agricoltura floridissima. E infatti quelle terre erano le più cristiane del mondo, da lì veniva, ad esempio, Agostino. Poi, dilaniato dalle eresie primordiali, il cristianesimo colà seccò e si portò via la primavera; divennero deserto, quando il cristianesimo scomparve del tutto: fu sostituito da Maometto e dal nulla.

Una ipotesi suggestiva. Mia, non di Radio Maria.

Che strano questo Filippo Neri…

1514317_10201840092736841_1962288448_nNon mi ha mai incuriosito la figura di Filippo Neri, salvo il fatto che da ragazzino il mio parroco diceva che avesse un pessimo carattere, e soprattutto detestava i bambini e proprio per penitenza aveva deciso di diventare simpatico e farsi piacere i bambini, ricambiato. Se non erro, sempre a detta del mio parroco d’infanzia, don Franco Marchese, era Filippo Neri a dire che “noi chiediamo due cose soltanto ai bambini, di stare zitti e fermi: le uniche due cose che non ci possono dare”.

Una volta andai a vedere il suo corpo nella Chiesa Nuova, perché avevo sognato di notte quella chiesa con delle volte larghissime, impossibili da realizzare architettonicamente; osservai le mani sotto la reticella metallica di Filippo… e presi sonno in quella cappella.

Leggevo al cesso il libricino biografico che mi ha spedito in omaggio, fra i tanti, il Centro Missionario Francescano di Pesaro (da loro pubblicato). E ne scopro le sue intuizioni pratiche, mirabili, uno che conosceva bene le leggi del potere, il come si sta al mondo.

Filippo invitava a guardarsi da un pericolo nel quale molti di noi cadono, io per primo poi credendo di aver “visto” qualcosa: “mentre pregate, non fissatevi troppo sulle immagini e gli oggetti sacri, o correte il rischio di farvi prendere da qualche illusione fantasiosa”.

Per esempio, diceva “chi vuol essere obbedito, dia pochi comandi”; e ancora (cito a memoria) “Alcuni iniziano a praticare molte devozioni ma poi si stancano e non durano; è bene prenderne poche e non lasciarle mai”.

Caterina “critichiamo il papa, ma…”

1511089_10201874949808246_962956316_nRidavo un’occhiata a un vecchio libro edito da Mondadori, collana Le Scie, firmato da Edgarda Ferri, che lessi a vent’anni: “Io, Caterina”.

Caterina da Siena, destinata ad essere dottore della Chiesa, quando si parlava del “babbino”, del Papa, di come si dovesse reagire davanti ad un Papa difficile da seguire… lei rispondeva così al confessore: “Ci sono cose che possiamo dire sul Papa e del Papa, ed altre che non possiamo dire perché è il Papa legittimo; ma possiamo pregare laddove non possiamo parlare…”.

Già! Ma quanti di noi, siamo sinceri, hanno poi tutta questa voglia di pregare… quando siamo certi che la nostra opera, sinanche la nostra lingua possano supplire magnificamente alla mancanza di preghiera? Bisogna avere fede nella preghiera, certo, ma la pigrizia e lo scetticismo, la sopravvalutazione della nostra missione sono più forti della fede nella preghiera. Poi penso anche: ho pregato giorno dopo giorno per il papa Benedetto, per anni, anno dopo anno perché “…non tradat eum in animam inimicorum eius”, ma a che è servito?

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Corvi e rapaci uccidono le colombe del papa. Presagio nefasto?

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Corvi e rapaci si avventano sulle colombe “del papa”: per chi è abituato a leggere i “segni”, ebbene, questo è un presagio nefasto. Tuttavia, se una colomba è stata uccisa, l’altra colomba, quella attaccata dal corvo, è ancora viva… Non prevalebunt!

Leggi l’articolo del Mastino su QELSI QUOTIDIANO

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Dal Vangelo secondo Cristo, al vangelo “secondo” tutti: progressisti,nani e ballerine

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Ma questi sono diventati tutti pazzi nel libero diabetico blaterare a ruota libera come tante alici nel paese delle lavastoviglie.

23Mentre guidavo, ascoltavo per incidente la RadioMaria dei poveri, RadioMater. Che essendo roba pugliese, una emittente locale salentina, in un profluvio di buon-sentimentalismi levantini ha a professare più che il vangelo secondo Cristo il vangelo “secondo” qualche altro, chiunque altro, purché politicamente corretto. In genere predilige, quotidianamente,  quello “secondo don Tonino Bello”. Che poi, chiaramente, va a coincidere sempre col vangelo “secondo” la retorica clericale imperante, la quale a sua volta, naturaliter, confluisce e si disperde nel pensiero unico dominante, nell’aleatoria, sedicente “etica” laica. Ossia nella mondanità laica che si fa docente e teologante. Il Mondo, inteso nel senso evangelico, e il suo Spirito, guardano e ascoltano questi fenomeni di bigottismo secolarizzato, questi avanzi di sacrestia, e deducono che gli fanno il solletico, e sono inutili  persino come alleati. Figurarsi quanto potrebbero essere irrilevanti come “nemici”. Macché!

9788821570841gAndate nelle librerie laiche e cattoliche, troverete decine di “vangelo secondo…” il tale e tal’altro trombone progressista, prete scomunicato, demagogo, cantante spompato in cerca di riciclaggio; ma non è affatto scontato trovare il Vangelo originale, “secondo” Matteo, Giovanni, Luca, Marco… tutti, don Gallo, Martini, Mancuso, De André, papa Francesco, Guccini, pure “secondo” qualche pompinaro dichiarato, troia e pornostar, tutti meno che quelli originali. Per tacer del profluvio, poi, di “vangeli apocrifi”, gnostici… tricchi-tracchi-e-scattagnola.

Insomma, dicevo, mi sottopongo a questo supplizio radiofonico del “vangelo secondo don Tonino”, l’ennesimo fra le centinaia di vangeli “secondo”… tutti, meno che “secondo” Cristo e men che meno la Chiesa. Ascoltavo, e la carezzevole, melliflua, svenevole voce di donna di sacrestia, con quel sentor di mustazzo raso di fresco e di SinistraEcologia&Libertà, cosa ci dice di questo vangelo “secondo Bello” se non bellissime scontatissime cose? Che altro può aggiungere al “rendici capaci dei primi passi nel perdono”?… come se il “perdono” così come la condanna spettasse a noi e non a Dio?

Dice pari pari che “noi cristiani” siamo, dobbiamo essere ottimisti. Tanto di cappello! Non fosse che aggiunge poi che noi si sta felici contenti e beati come minchioni e abbiamo solo da sorridere, sempre, per un motivo preciso. Quale?.. Perché mai?

download (1)Ma perché (cito testuale) «c’è da avere grande fiducia nell’uomo». Perché la natura dell’uomo è “buona” e “bella” nonostante “il brutto” che c’è fuori. Il brutto del Bello. Il bello è dentro, dunque, il brutto è fuori, non è magari che il brutto che abbiamo dentro si propala anche all’esterno, no: siamo “buoni” almeno quanto il “buon selvaggio” di Rousseau. È chiaro.

Ora, se c’è una cosa che non solo l’esperienza e la storia ci hanno insegnato, ma pure Cristo in ogni singola pagina del Vangelo, e i profeti per tutto l’Antico Testamento è “guai a chi confida nell’uomo“, perché altro non saremmo che “ciechi che si lasciano guidare da altri ciechi”.

Ma qual è il problema di questa gente pia, beata e minchiona, di questi alacri, indefessi propagatori di vangeli “secondo” tutti… i cialtroni che hanno strappato qualche applauso mondano? Qual è la cosa che gli fa immaginare uomini naturaliter belli, bravi e buoni dentro? Qual è, se non il peccato maggiore di questi tempi, e che è l’origine di ogni altro peccato, la fonte battesimale di tutte le eresie, le ideologie e di ogni contemporanea illusione di paradisi terrestri possibili? Qual è la causa di questa autoassoluzione di massa, dell’uomo che monda e salva l’uomo?

Copia-di-IL-VANGELO-SECONDO-GUCCINI-cop2Qual è e cos’è se non l’esorcismo collettivo, ecclesiologico, politico che ha ricacciato nell’ombra e nella dannazione eterna delle cose “scorrette” e improponibili IL PECCATO ORIGINALE? Il quale, ohibò, ha portato la corruzione nel fondo del cuore e in ogni lembo di pelle di tutti gli esseri viventi, d’ogni uomo, a prescindere dalle sue azioni e dalla volontà. Il male, questo dice il Peccato Originale, si nasconde dentro ogni creatura umana, nessuna esclusa, anche fra le più sante, pronto ad emergere alla prima occasione. Magari al riparo da occhi indiscreti. Questo ha fatto dire a Gesù “guai a coloro che confideranno nel proprio simile”. O in se stessi, perché ingannevole più d’ogni altra cosa è il cuore. Siamo tutti ciechi. Che certe volte si mettono alla testa di altri ciechi, o in coda. Per marciare contro Cristo.

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. (…) Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?» (Geremia; 17- 5,6,9)

FDA_libri_ghezzi_1Non sorprende che la confessione anglicana, abbia stabilito di non impartire più il battesimo per mondare dal Peccato Originale. Anzi, è proibito persino farne menzione, o crederlo reale anziché simbolico. “E’ scorretto”, “antiumanitario”, “non sta bene”. Soprattutto “non ce n’è bisogno”: l’uomo nasce “buono”. E’ buono. Semmai “è la società” ad essere cattiva. Come se la società fosse guidata da delle scimmie e non invece dal cuore dell’uomo, che è ingannevole più d’ogni altra cosa.

Dirà forse Flaubert: è Dio che ha creato il mondo; ma è il diavolo che lo fa andare avanti.

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Benedetto: dal Gran Rifiuto al piccolo rifiuto. Dello stemma di “emerito”

Don Ciotti dal Papa: più che odore di pecore addosso, olezzo di “caprone”

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PapaFrancescoLuigiCiottiOK

Se date una scorsa a google usando la parola chiave “papa francesco don ciotti”, avrete una e una sola foto con papa Francesco e Ciotti, una foto scattata anche male, da un cellulare probabilmente, dove la faccia scura del papa è emblematica.

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Se la Santa degl’Impossibili può salvare il cattolico medio

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santa ritaHo smesso di preoccuparmi e meravigliarmi. Sullo stato delle cose, sul cattolico medio. Qua tutti quanti stamo a fa’ lezioni universitarie sui massimi sistemi a gente che avrebbe bisogno delle tabelline e dell’alfabeto per arrivare in terza: una lotta contro l’analfabetismo religioso….

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Il regime dei Generali Argentini? Ma quali fascisti, erano spalleggiati dall’Urss!

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images (2)Dico la verità, mi ha colto di sorpresa, nonostante io da studioso – per passione e trascorsi accademici – non dovrei essere una alice nel paese delle meraviglie quando si tratta di storia politica. Prendi la dura dittatura dei generali argentini, prendi la stravagante guerra delle Falkland della Thatcher, prendi il blocco della Guerra Fredda. Prendi tutto questo e quanto su tali storie ci hanno raccontato e sappiamo e buttalo al cesso. E lo sciacquone andrebbe tirato anche addosso alle famose Madri di Plaza de Majo

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E papa Francesco disse “cazzo”. Una dotta disputa fallica

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Ho riso anche io l’altro giorno, quando m’hanno mandato un articoletto con allegato un video dell’angelus di papa Francesco, dal titolo allarmante: “VIDEO La gaffe di Papa Francesco: ‘In questo cazzo…’” (vedi QUI). E prosegue l’occhiello: “Gaffe di Papa Francesco bella grossa durante l’Angelus a Piazza San Pietro. Attimi di brividi per i fedeli presenti”.

Ebbene sì, anche un papa ha detto (in pubblico) “cazzo”, per la prima volta nella storia. Per la prima?… la prima della storia? Ma quando mai! Sono secoli che i papi, in privato almeno, dicono “cazzo!”.

La storia sarebbe lunga e complessa, cerchiamo di farla breve.

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In verità vi dico: potete e dovete “giudicare” il prossimo!

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La grande marcia della distruzione mentale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo. È un atteggiamento ragionevole negare l’esistenza delle pietre sulla strada; sarà un dogma religioso affermarla. È una tesi razionale pensare di vivere tutti in un sogno; sarà un esempio di saggezza mistica affermare che siamo tutti svegli. Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto.

Sono parole di Chesterton, e sono state la sua ulteriore profezia: sta parlando dei nostri giorni, ma ne ha scritto un secolo fa. Con queste parole mi piace iniziare questa mia improvvisata riflessione di mezzanotte.

***

Questa storia qui che “non si giudica” e che si rovescia nell’esatto contrario. Non si giudica cosa? Le persone e il cuore delle persone, nel cui scrigno i segreti solo Dio conosce. E giudicherà. Non possiamo anticiparne la sentenza, anche perché non la si conosce, o almeno non sappiamo a quali attenuanti o aggravanti vorrà ricorrere. Siamo d’accordo, su questo.

Tuttavia, si è abusivamente esteso questo divieto a tutta una serie di risvolti che nient’affatto sono esentati dal giudizio umano. E lo si è fatto non esattamente in buona fede, ma per sentirsi ciascuno in licenza di fare e dire ciò che vuole “tanto nessuno mi può giudicare”, solo Dio, e non è detto esista, e se  esiste è il Dio della “misericordia”, ossia, per come la vedono loro, della condiscendenza, delle amnesie totali, delle amnistie generali e, magari, della complicità.

Certo, nessuno vuol giudicare l’anima delle persone e i segreti dei loro cuori, anche  se molti hanno quel sesto senso, oserei dire quella sensibilità di leggere entro le pieghe di molti animi. Ma neppure questo basta a trasformare l’intuizione profonda in giudizio, almeno in giudizio pubblico di condanna, quantunque quasi sia un istinto (o una tentazione istintiva) connaturata all’uomo. Ok!

Ma esiste una dimensione pubblica della colpa, un momento in cui i segreti del cuore al giudizio di Dio soltanto sottoposti, si trasformano in pensieri, parole, opere, omissioni, qui e ora, sulla terra, e i cui riverberi si estendono su tutti noi. Ecco, è questo il momento esatto in cui il “giudizio” cessa di essere soltanto sfera di competenza del divino e diventa anche non privilegio, non abuso, ma dovere preciso, e obbligo di ogni cristiano. Di segnalare con la denuncia onesta e rispettosa, anche se forte una cattiva azione od omissione di un qualcuno che ha perpetrato o permesso il male, foss’anche solo limitato al contesto religioso… e anzi a maggior ragione. Malazione che non può che nascere da un cattivo animo.

Ora, in ogni pagina del Vangelo, IN OGNI PAGINA, si riportano giudizi su azioni o omissioni dei diversi protagonisti che hanno condotto al male, e a questi si aggiunge il giudizio che segnala l’origine delle cattive azioni di tanti, radice che è quasi sempre allocata nel cuore: “ipocriti” è una sentenza che ricorre spessissimo in quelle pagine, pronunciata molteplici volte dallo stesso Gesù, con la quale si dice, in pratica, che la parvenza formalmente corretta di un’azione è in contrasto con l’animo malevolo e magari corrotto di chi l’ha compiuta. È quando Gesù parla dei “sepolcri imbiancati”, ad esempio: sepolcro imbiancato non è necessariamente sempre chi accusa, ma anche chi difende… magari pure l’accusato di aver compiuto il male, il corrotto. Persino chi dice “chi sei tu per giudicare?” persino costui può essere il sepolcro imbiancato: anzi, quasi sempre è lui il vero sepolcro imbiancato. Stiamoci attenti a questa cosa!

I “giudizi” espressi nelle vicende evangeliche, dunque. Si dirà: ma quello era Gesù e poteva! Come no, certamente! Ma è lo stesso Gesù che indica quasi un metodo per riconoscere le incoerenze, per vagliare e dunque giudicare, additare e condannare le stesse azioni cattive degli uomini.

A un certo punto Gesù chiama Pietro in disparte e gli dice che se qualcuno, “un fratello”  sbaglia, tu devi prenderlo da parte e farglielo notare. Ma se continua imperterrito allora lo devi portare davanti all’assemblea e accusarlo pubblicamente. Detto questo, Gesù fa un’operazione difficilmente spiegabile, enigmatica: all’improvviso accusa ad alta voce Pietro davanti a tutti, lo prende a male parole senza averlo prima redarguito in privato.

Abbiamo una coscienza, la coscienza è autonoma; ma non è fatta solo per auto-giudicare le nostre stesse azioni e lo spirito con cui le abbiamo compiute; serve anche ad applicare lo stesso meccanismo per il vaglio delle azioni altrui. “Chi sono io per giudicare?” Una bestialità, si dirà, avrà detto quel funesto giorno il papa. Mica tanto: se poi ha aggiunto una cosa: “Ma io sono figlio della Chiesa”, ossia professo quanto essa stabilisce su un determinato problema. Questo è legittimo, illegittimo è applicare i “secondo me”.

Perché, mettiamocelo in testa, chi crede che a prescindere nulla e nessuno sia “giudicabile”, che lecita è l’immunità e l’impunità di chiunque perché a Dio solo spetterebbe giudizio e condanna, non è né per rispetto a Dio né al prossimo che parla così; così pensa e dice perché vittima fra le tante del relativismo strisciante, di quella cattiva coscienza che professa quel “tutto uguale a tutto” e dunque tutto “è lecito” se solo “a me piace”, dove si smarrisce non solo il senso del peccato e la nozione di colpa, ma persino l’idea stessa di giustizia e di coscienza. In nome della maestà del “Secondo Me”, vera detronizzazione di Dio e del suo tanto sbandierato (a parole, respinto nei fatti) “giudizio”. E’ questo semmai il vero pericolo per la fortezza di alcuni e le debolezze di tanti… questo sì, perché ci pone dinanzi al capriccio e alla mutevolezza delle opinioni altrui, private, sorte dal nulla e dai venti ideologici cangianti, e dall’arbitrio dello spirito del mondo che è il demonio, onde non v’è più alcuna garanzia né certezza per alcuno.

Convinciamocene: il decalogo, il vangelo, la bibbia, il magistero, sono libretti di istruzioni per farci individuare le cose sbagliate, in pensieri, parole opere e omissioni. “Istruzioni” che servono a esaminare anzitutto la nostra vita e la nostra coscienza per avere certezza che queste siano in sintonia con Dio; ma allo stesso tempo e per la stessa ragione, tale esame si può estendere, seppure entro certi limiti, alle azione altrui. E talora si deve. Esiste una dimensione privata ma anche pubblica e sociale del peccato, del peccato individuale. Ecco: quel “libretto delle istruzioni” è come il bugiardino dei medicinali: la posologia, le proprietà terapeutiche di un farmaco se sono valide per me, alla stessa maniera, grossomodo, sono valide pure per gli altri malati. E questo classifica anche il genere di malattia: mia o altrui.

Ma oggi se qualcuno, sovente un religioso, fa una cosa discutibile, contro le regole, contro persino la legge di Cristo si dice… quasi si intimidisce con un “non si deve giudicare” chi osasse far rimostranze;  perché a prescindere dall’azione di un tale ci starebbero un tot di cose, intime, che non sappiamo e solo Dio conoscerebbe. Per cui si arriva all’assurdo di qualcuno che sostiene dal pulpito (sovente televisivo) che il quadrato è tondo, ma guai a giudicarlo per quel che è, un imbecille, perché -ed è questa la ragione di fondo – la verità nella sua assolutezza “non esiste”, ordunque il quadrato può essere tondo e il tondo triangolo. Tutto è relativo.

Ahimè però l’uomo è prevedibile e molte sue azioni, qualora diventano pubbliche, sono indice di un determinato cattivo stato di coscienza, malafede e dolo, sono sempre il riflesso del livello di bontà o corruttela di un animo, e ciò che dal piano privato si estende alla dimensione pubblica in modo devastante, o almeno fuorviante per tanta gente in buonafede, non solo si può e si deve giudicare, ma si deve anche condannare, censurare e combattere. Dopo aver preso, in prima istanza, “il fratello in disparte” e averlo redarguito… ma senza risultati.

Talora il “non giudicare” peloso di molti si rovescia e si trasforma in un giudizio spietato e feroce su chi sta cercando di porre rimedio o fine a un pubblico scandalo, dicendo che un cerchio non può essere quadrato, tacciati, maschini!, di essere “integralisti”, “ipocriti”, “bacchettoni”, magari pure “fascisti”. Ed è, paradossalmente, anche un giudizio sulla persona additata dalla presunta mandria di “ipocriti”, dalla comunità cristiana cioè, e “difesa” dal generalista “non giudicare” di un tale che deve atteggiarsi a buono e umile, per diritto divino, della situazione (si giudica in ogni caso, in bene e in male: Cristo in realtà intendeva vietare entrambi). Ma che in genere non è per delicatezza e pietas christiana che s’appella senza discernimento a tale proibizione divina, il “non giudicare”: egli pure vede l’errore di quel soggetto “additato”, solo che non lo riconosce come tale, come peccato. Semmai come un “diritto”. Perché è d’accordo con lui. O perché, magari, è il medesimo peccato al quale egli stesso vuol aver diritto. Dispensato non solo dal giudizio degli uomini, ma financo da quello del Dio detronizzato… per troppa altrui “umiltà” frammista a “bontà”. Ossia dalle ideologie dell’umilismo e del buonismo. In una parola: dagli ipocriti.

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Bergoglio “il papa che sta cambiando il mondo”. Ma va’ là!

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fgVado in edicola e vedo un newsmagazine. Grande foto del papa. Poi il titolo: “Il segreto di Bergoglio: il papa che sta cambiando il mondo” (e, va da sé, “la Chiesa”). E ti ricordi titoli simili tributati nell’ordine a Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I financo con i suoi soli 33 giorni di papato, e Giovanni Paolo II. Benedetto XVI no, lui portava il mondo “indietro di 200 anni”, anche perché parlando parlava chiaro strafottendosene di giornalisti e titoli di giornali, e ancora più del loro consenso… e allora ecco il “reazionario” a detta loro. Ma questo di mò… ‘sto papa, questo “cambia il mondo”.

Di grazia: cosa cazzarola avrebbe fatto di preciso?…

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Roma di giorno, Roma di notte

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Roma, di giorno

Vado al mio mercato de anticaje&petrella solito, il mercato delle pulci a Conca d’Oro. Dove un tempo, quando trafficavo parecchio, ero un’autorità: ero un grande venditore ebay di militaria, roba che accumulavo diverse migliaia di euro al mese. Ma ho conservato un’aurea di leggenda pure adesso. Mi conoscono un po’ tutti, perché facevo circolare parecchio denaro nelle loro tasche, ogni venerdì mi arrivavano un sacco di loro msg sul cellulare per aggiornami sulle “occasioni strepitose”. Per il sabato e la domenica successivi.

Ma la cosa bella è che tutti mi conoscono ma tutti ignorano chi io veramente sia, e ho fatto di tutto per confondere le acque. Ciascuno mi ha costruito una carriera e appiccicato un’etichetta addosso a secondo di quello che compravo da loro e della competenza nello scandagliare la mercanzia e farla finire nelle mani giuste.

Pure oggi. Arrivo e inizio la mia marcia trionfale tra le bancarelle, spalleggiato da un mio amico, come fosse un guardaspalle.

1380496_10201312295142231_537210448_nE già il primo bancarellaro: «Buonasera reverendooo».

«Mavaffanculo».

«Reverè che t’ho fatto sartà ‘a copertura? er voto de povertà?»

«Aridaje, t’ho detto mille vorte che s’io fossi prete andrei in giro con ‘a talare».

E il secondo, al solito: «Stammatina ci hai l’aria artezzosa de chi…»

«…de chi “è diventato ricco”, lo sapemo!, cambia copione. Tu piuttosto, stai a diventà un magnate qua, sei partito da na bancarella e mò c’hai tre gazebo: tutto sudore mio sto sgozzone!».

E il terzo, che ho assecondato nella sua idea che io sia, Dio solo sa perché, un magistrato: «Signor giudice, chi avemo arestato de bello sta settimana?»

«Tu nonno in caroza! Ma nu me rompe li cojoni che ‘a gente è boccalona e va a crede davero che so’ comunista… A proposito che ci hai saputo gnente der zozzo che t’ho detto?»

«Dottò, che te devo di! M’ha fatto vède ‘no stiletto nazista ma ci ammanca la svastica, che faccio te ‘o pio?»

«E datte ‘na cortellata co’ quello senza svastica… che me ce sbuccio sta mela?!».

Roma, di notte

1378777_10201322273871693_1305374616_nÈ Roma, bellezza! La Roma de giorno. Ma poi c’è una Roma di notte, segreta, che ogni tanto vado a scoprire, in solitudine, come una via crucis di preghiera, dannazione e redenzione. Indossando una maschera di sgomento. Talora, poi, ne prendo appunti: per scrivere un giorno il romanzo che ho dentro.

Per esempio questi, di una notte romana:

Sono disceso nel ventre della Città di notte. Ritorno

Sono entrato nel cuore di questa notte, a piedi quasi nudi sono sceso con le spalle scoperte nel ventre oscuro e gassoso della metropoli buia, scivolando nei suoi anfratti più purulenti diventati disumani già sul far della sera: per sentire la vita e la morte insieme: gente che parlava tutte le lingue e nessuna, ladri, pazzi, invasati, gatti neri malati e doloranti, una indemoniata forse che mi dice “non ce la farai: sto nelle tua ossa”, e puttane che mi offrono i loro corpi vili, drogati che mi chiedono sigarette, deformi che mi fanno un sorriso belluino e sdentato, moribondi per strada senza misericordia, bestie che mi ringhiano contro, un corpo che fu umano risalito dalla melma del Tevere con sul collo i segni inequivocabili della peste bubbonica nel secolo sbagliato, poliziotti che non riescono a catalogare che razza di animale notturno io sia così indifeso così profondo, marchettari e froci smaniosi di essere trafitti e sacrificati; e poi sconfitti, sconfitti, sconfitti, soli, poeti, forse qualche santo derelitto. Pensavo a mia madre e ai corpi che ho amato: quanti.

Sono disceso inerte nella carne piagata straziata e putrefatta dal peccato originale.

Una discesa all’inferno nella quale sono stato tentato da tutte le tentazioni, ho visto la Pitonessa e sentito Baal: potevo non riemergere mai più. Sordido e psichedelico, saturo di caffeina e vodka e fumo. Ho invocato l’abisso nero del cielo: Exurge Domine, e liberaci dal male oscuro e dalla vita senza amore, senza redenzione, perché “guai ai soli”, guai agli sconfitti sta scritto. Ho reso grazie varcando la porta di casa come quella del paradiso: un po’ meno vivo, ma in piedi.

Avevo gli occhi gonfi di lacrime non versate. Avevo bisogno di baciare qualcuno e forse l’ho fatto da qualche parte. Mi girava la testa.

 

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