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“In che lingua vuole il messale in latino?”. Librerie San Paolo

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Spulciando fra le mie cose, ho ritrovato un appunto risalente al 2009, che a rileggerlo m’ha un po’ impressionato, una specie di pagina di diario. Oggi sarei meno esasperato, lo riscrivessi: ma non è che la situazione è migliorata troppo, semmai tende a degenerare e farsi regola.Ve lo riporto qua sotto. 

Certe volte me vojo sta zitto, ché poi dicono ce l’ho sempre coi Paolini.

Ma se te le fanno scappare di bocca proprio! Mò però succede che ogni venerdì, uscendo dagli Archivi Segreti Vaticani, passo sempre dalla libreria San Paolo a via del Mascherino, a due passi dal papa. Puntualmente me ne combinano una. Arrivo e già tira brutta aria e sento puzza di modernismo a un km di distanza. Un 40enne messicano vestito da alternativo comunista del quartiere San Lorenzo cerca libri. La suora gli domanda “do il libro alla sua fidanzata?”. Ride lui: “Ahahah ma sono un prete!”. Ridono tutti, io no. No perché ho capito che più che per il celibato sacerdotale è per l’effemminatezza di lui se non sono fidanzati quei due.

Poi arriva il mio turno. Siamo alle solite: ci sono le massime troiate ma non un solo testo che riguardi la tradizione cattolica. Tuttavia quel che due mesi fa c’era sul tema, è venduto “esaurito e in ristampa”… assa ffa Dio!

Giungo alla solita suor T., una 70enne, che alla sua età s’è tolta il velo, ma era meglio se optava per un burqua. Chiedo un messalino per la messa in latino. “In che lingua lo vuole?”. Ci può essere una domanda più stronza di questa? Perché, dico, “ai suoi tempi in quante lingue si diceva la messa?”. Me fa dice: “In italiano, no?”… in ostrogoto strega malefica!

Le suore, mi diceva un prete, “son bigotte e progressiste”. E’ vero! Queste qui, ed è un dato quasi collettivo, hanno dimenticato, cancellato in un baleno tutto, tutto ciò che era stato, ciò che una volta le aveva portate in convento, sono cresciute con la messa in latino e mò manco se ricordano che un tempo così la si celebrava (figurarsi se hanno realizzato che la si può ancora celebrare). E immediatamente hanno dimenticato che era Dio e non l’uomo il protagonista.

Mi rendo conto che forse mentre quella messa c’era, tanto era data per scontata che era venuto meno l’amore verso di essa: se vivi in un castello, a lungo andare non ci farai più caso, e persino una stalla ti sembrerà più trendy. Eppure, avvertiva un grande santo: “Chi ama la messa è già in paradiso”.

Mi passano a un’altra suora senza più velo. E mi guarda male questa, perché capisce bene cosa sto cercando: e non le piace. Si irrita facilmente, glielo leggi in faccia, quando le vai a chiedere roba a suo avviso “troppo” cattolica, “integralista”, aceto sulla sensibilissima ferita aperta del suo conciliarismo ecumenico e sarebbe meglio dire irenico e sincretista non appagato, non sino al punto che vorrebbe lei almeno: l’abolizione del cattolicesimo. Tanto lo schifano. E lo temono.

La conosco bene quest’altra strega. La conosco da quando, con uno dei miei giochetti preferiti, faccio parlare la gente assecondandola, magari mutando lievemente identità io. Come quella volta, anni fa, che stavo cercando dei libri sugli ebrei. E domandai a lei. Illuminandosi di gioia i suoi occhi, mi chiese: “Ma lei è ebreooo?”. Certo, dissi, so’ giudìo. “Oh fratello maggiore!”. Era felicissima di vedere un non cattolico, finalmente. E allora mi bombardò di complimenti tenerissimi sul mio “privilegio” di essere membro del “popolo eletto” e “tutto dobbiamo a voi” e domande insistenti su dove abitassi come se un ebreo non potesse che risiedere nell’eden. “Lei abita al Ghetto?”. No, ne sono fuoriuscito diversi anni fa, per respirare aria pulita in un quartiere popolare e con razze assortite, la coglionavo. La guardo adesso questa specie di madre inferiora in cerca di fratelli maggiori, adesso che le chiedevo qualcosa di “integralista”: mi stava disprezzando con l’occhio clericale. O sarebbe meglio dire: mi stava temendo, come fossi un matto scappato da qualche sacrestia sfuggita all’autodemolizione della Chiesa.

Uscendo dalla San Paolo, mi viene inferto il colpo di grazia: due titoli.

Il primo, del 2008: “QUALE SUCCESSORE PER BENEDETTO?”… Di già???… a momenti sta ancora affacciato alla Loggia Centrale e già pensano al successore?

Il secondo, sul “significato dell’eucarestia” (pensano loro), libro dal titolo straziante e pazzo come tutti sono usciti pazzi nella chiesa: “ANDIAMO A TAVOLA”… che se magna? ova alla cocca??!

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